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Medioevo 2.0 - Premessa

Pubblicato da Massimo Piccolo in Medioevo 2.0 · 7/2/2015 17:46:00
Per noi, ragazzini degli anni ’70 - ’80, il positivismo - prima ancora che a scuola ci insegnassero cosa fosse - è stato assorbito quotidianamente dalla semplice esperienza: la lenta ma inesorabile e sistematica sostituzione del bianco e nero con il colore, i televisori da ingombranti con schermi piccoli a leggeri con schermi grandi, fino alle meraviglie di questi giganti e smart (spesso più dei programmi che trasmettono).

Poi i telefoni che, smessa la funzione di comunicazione semplice, si sono staccati dalla parete o alzati dal tavolino e andati in giro per casa come cordless, diventando mezzi di comunicazione complessa usati anche per la socializzazione (pensate ai siparietti ne I Robinson negli anni ’80 o la pubblicità Telecom “mi ami, ma quanto mi ami ?” degli anni ’90 ).

Telefoni che poi, quasi magicamente, sono diventati personali, liberandosi dal legame con la casa che, detta così può sembrare anche una cosa da poco ma in realtà ha significato una vera emancipazione, ha solcato, per la prima volta una separazione importante tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzi all’interno della casa stessa, facendo sì che l’esterno (amici, flirt, conoscenti) potessero entrare all’interno del nucleo familiare senza più alcun filtro. Una volta diventato cellulare il telefono, nel giro di pochissimi anni è diventato poi una piccola consolle piena di media (giochi, fotocamera, videocamera, radio, musica) fino a perdere o far passare in secondo piano quella che era la sua funzione primaria (quante telefonate avete fatto o ricevuto oggi col vostro smartphone ? tre ? cinque ? dieci ? bene, paragonatele ai messaggi e post inviati e letti su Facebook o WhatsApp…)

La musica. Quella della musica è stata per noi un’altra splendida conferma dell’inarrestabile e onnipotente destino del progresso. Venivamo dai rari (perché costosi), delicati e preziosi dischi di vinile. La fruizione musicale funzionava più o meno così: c’erano gli esperti perché sapienti (ricchi, o adulti, o davvero appassionati) di un (nel senso di uno soltanto) genere musicale e capitava che raccontassero in giro di un musicista, del tipo “sai, ho sentito un disco di Charlie Parker che è una bomba” oppure “un mio amico mi ha detto che il fratello di X dice che esiste un sassofonista eccezionale, si chiama Charlie Parker”. Bene. A quel punto dovevate andare a casa di chi aveva il disco, sempre che volesse ospitarvi, e ascoltarlo.

Nel giro di pochi anni tutto è cambiato. Prima con il diffondersi del registratore a cassetta a circuito interno, così ti facevi prestare il disco, rec sulla piastra e voilà (cioè il tempo dell’ascolto del disco), avevi una copia su musicassetta (certo si sentiva ancora più forte il gracchiare della puntina e spesso il nastro ti si attorcigliava, però comunque funzionava), poi la doppia piastra (copiavi da una musicassetta all’altra), poi il cd.

E qui tocca fermarci un attimo. Per chi non l’ha vissuto è davvero difficile immaginarlo. All’epoca, eravamo adolescenti e piccolo borghesi, e come la stragrande maggioranza di adolescenti piccolo borghesi non avevo un grande impianto stereo, giusto un blocco con un piatto, la piastra per la cassetta e la radio a manopola, ma c’era mio cugino (anche lui adolescente e piccolo borghese ma appassionatissimo di impianti) che era riuscito ad avere delle casse Yamaha altissime, di quelle che a un quarto del volume facevano già arrivare la signora del piano di sotto in preda al panico.

Prima di collegare per la prima volta il lettore cd quell’impianto aveva suonato con delle bellissime piastre Sony (un piatto decente costava troppo) e fino ad allora, Moon and Sand di Chet Baker l’avevamo sentito solo così: play, trak (rumore meccanico) fruscio, quattro note di piano e il basso di Leftwich che ci vibrava l’anima. E ancora, play, trak, zzzzz e un tocco di piano e di nuovo Leftwich che ricominciava. Quando arrivò il lettore cd e prememmo play, a volume basso, giusto per vedere se non avevamo combinato qualche guaio nei collegamenti, Lello e io ci guardammo un attimo perplessi, la situazione si era completamente rovesciata: play, sssss, silenzio e dum, il basso che attaccava. Il rumore meccanico aveva lasciato il posto a un piccolo sibilo e per la prima volta avevamo ascoltato il “silenzio” prima dell’attacco della musica. Ripetemmo alzando un bel po’ il volume. Play, sssss, silenzio assoluto e poi le quattro semicrome di piano e un dum da far rimbombare anche le stoviglie nelle credenze dalla stanza accanto. E come non avremmo potuto alimentare una fiducia incondizionata nella tecnologia e nel futuro visto che eravamo addirittura riusciti ad ascoltare il silenzio ?

Certo l’arrivo della signora del piano di sotto dopo qualche minuto e degli mp3 dopo qualche anno avrebbero dovuto metterci in guardia. Ma era ancora troppo presto.
In un soffio ci siamo trovati dal battere sui tasti grigi col clik del Commodore 64 allo sfiorare la tastiera (se non addirittura al dettato) del tablet, passando così velocemente dal 286 all’intel core i7ee (o una roba del genere) che abbiamo ancora mobili con pacchi di floppy disk che non sapremo mai più cosa contengono.

E le automobili ? con sempre meno linee squadrate e pesanti per piegarsi ingentilendosi all’aerodinamica e ai nuovi materiali da costruzione sembrano più moderne di quelle sognate dai progettisti dei film di fantascienza. Ok, ancora non fluttuano come in Blade Runner ma in compenso il clima, tutto sommato, ha retto meglio di quanto temessimo, nessuna bomba atomica ci ha spazzato via e anche la nuova peste è stata in qualche modo domata.

Persino la bellezza estetica che prima sembrava destinata solo alle top model (ancelle semidee della Milano da bere) è diventata un bene comune, ogni ragazza del nuovo millennio ha nel suo book foto da far invidia alle modelle cotonate delle riviste del tempo: sarà merito dell’alimentazione, dello sport, della cosmesi, dei tutorial di trucco o chissà quale diavoleria ma adesso non solo sono tutte più o meno belle, ma sono diventate belle anche le loro madri. Ragazze bruttine a quindici anni diventate oggi splendide 40enni. E 50enni meglio delle loro figlie ventenni. Anche il crudele scorrere del tempo, in qualche modo sembrava che prima o poi l’avremmo vinto.

Quando poi è arrivato internet davvero abbiamo creduto che al progresso dell’uomo non ci sarebbe mai stata fine. Mai prima di ora all’essere umano era concessa una tale mole di informazioni a dei costi tutto sommato ridicoli. Ognuno avrebbe potuto accedere a un’enorme e sterminata quantità di testi, articoli, idee, congetture, esperimenti.
Il pensiero umano finalmente avrebbe potuto avere quella spinta che era stata limitata fino a questo momento dai medium fisici. Pensate a cosa significava prima di quest’ultimo incredibile progresso dover fare una ricerca. 

Quando si è laureata mia sorella con la sua bella tesi battuta a macchina, giusto per soffermarci su una sciocchezza, ogni correzione significava dover ribattere l’intero foglio. Cercare del materiale in un archivio significava prendere l’automobile e andarci di persona per capire se ci fosse qualcosa di utile, poi prelevare il materiale, farsi delle fotocopie, ecc ecc. Quando ho lavorato alla mia tesi ho usato il mio bel pc portatile, gli indici degli archivi e delle biblioteche erano in rete ma dovevo comunque prendere l’auto per spostarmi nelle varie biblioteche e perdere del tempo prezioso per fare fotocopie da portare a casa da studiare. Quando, tra un paio di anni, farà la tesi Monica, la sorella minore della mia ragazza, potrà evitare di uscire dalla sua stanza (se non per andarsene in giro) e il tempo che le occorrerà sarà inevitabilmente minore. Poco male direte voi. Bene dirà Monica.

Ma provate a spostare il pensiero dal mio piccolo aneddoto personale e applicatelo alla ricerca scientifica. Se il XX è stato il secolo breve il XXI probabilmente dovrà essere considerato per ventenni o addirittura decenni.
Capite adesso la potenza ? capite adesso quali meraviglie ?

Eppure, dopo tali presupposti e una così grandiosa premessa mai avrei immaginato che nel giro di qualche anno, gli ultimi 5 per l’esattezza (dall’esplosione di Facebook in poi, per intenderci), ci saremmo trovati invischiati, se non completamente almeno con i piedi in un nuovo medioevo.
Oppure come mi piace chiamarlo, medioevo 2.0.
Ma per entrarci ancora un po’ più dentro bisogna aspettare la prossima puntata…

 



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